UNA TEORIA DEGLI AFFETTI
Mark Rothko, negli anni in cui passava definitivamente ad una pittura astratta caratterizzata da grandi campi colorati e dalle forme geometriche regolari, scrisse che pensava ai suoi dipinti "come a opere teatrali: le forme che appaiono sono gli attori sul palcoscenico. " Ma, aggiunse, "non è possibile prevedere né descrivere in anticipo quale sarà l'azione o chi saranno gli attori. Tutto ha inizio come in un'avventura sconosciuta, in un mondo mai veduto prima. E' solo nel momento del compimento di questa avventura che ci rendiamo conto, come per un'illuminazione improvvisa, che ciò che si è concretizzato sulla scena è proprio quello che deve concretizzarsi." In modo analogo si potrebbe pensare a questo ciclo di dodici quadri astratti di Marina Mentoni, caratterizzato da variati ma determinati campi colorati e da un estremo rigore architettonico, come a una partitura musicale: i valori cromatici che si presentano nella loro geometria combinatoria sono gli accordi sulla scala melodica. Sarà un caso, ma erano proprio dodici i "modi", ovvero le tonalità, che Vincenzo Galilei, padre di Galileo, metteva in relazione con altrettanti stati d'animo, ben definiti e ereditati dalla teoria musicale degli antichi. Poi anche Cartesio li riprese, nel suo trattato Le passioni dell'anima, dove analizzava le loro forme semplici, come la meraviglia, l'amore, l'odio, il desiderio, la gioia e la tristezza, dalla cui combinazione deriverebbero le varie passioni. Allora l'emozione non era pensata modernamente come un flusso scorrevole, fuggevole, volubile, ma piuttosto come uno stato compatto, un fenomeno oggettivo anziché una condizione variabile soggettivamente. E la musica, secondo questa "teoria degli affetti", doveva essere perciò altrettanto compatta, coerente, omogenea, con modulazioni e tonalità sempre uguali, sempre differenti, con combinazioni e ricerche seriali (che si ripresenteranno di nuovo nella musica moderna), secondo le esigenze e secondo le emozioni che si vogliono esprimere, o meglio suscitare: "Di tal maniera, ci si può formare un quadro concreto di tutte le emozioni, e cercare di comporre di conseguenza", scrisse nel 1739 il compositore tedesco Johann Mattheson. Ma perché questa compattezza, coerenza e omogeneità non limita, non rinchiude in sé il mondo "ben temperato" degli affetti già prestabiliti? Perché, così il filosofo francese Gilles Deleuze a proposito della musica barocca nel suo libro su Leibniz, la serie dei dodici suoni "è suscettibile a sua volta di numerose variazioni, non soltanto ritmiche o melodiche, ma seguendo il movimento contrario, o il movimento retrogrado. A maggior ragione una serie infinita, anche se la variabile è unica, è inseparabile da una infinità di variazioni che la costituiscono: la si considera necessariamente secondo tutti gli ordini possibili, e si privilegia volta a volta questa o quella particolare sequenza "La Piega". E che altro sono questi dipinti di Marina Mentoni se non concertazioni di accordi cromatici, di varianti e invarianti, di chiari e scuri, di lievi gradazioni monocromatiche; una polifonia sempre nuova, mai uguale. L'accordarsi di queste opere, sia al loro interno che nel loro insieme, in un ordine programmato e secondo una logica ragionata, fa che diventino melodia, "armonia universale"; non esprimono, si fanno affetti, "come se fosse Questione di linee, di superfici o di corpi" (Etica di Spinoza). Quali non ci è più dato di sapere, il theatrum mundi non funziona più meccanicamente, ora é plasmabile, flessibile, fluido, e con ciò anche gli affetti. L'arte, l'artista, le sue opere non ce li rivelano immediatamente. Ma la speranza che ciò avvenga rimane. Rothko lo sapeva quando richiedeva all'artista di avere fede nella sua capacità di compiere quel miracolo al momento opportuno: "I quadri devono essere miracolosi."
Reinhard Sauer
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